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San Calogero di Naro a Pforzheim il monaco eremita. Cultura e tradizioni dell’emigrato narese


© by TeleVideoItalia.de - Rotocalco italiano in Europa - Portale TV Stampa di Angela Saieva. San Calogero di Naro a Pforzheim il monaco eremita. Cultura e tradizioni che l’emigrato narese porta con se, oltre i confini della propria terra. Incontra i cardini, la MCI e il CCI di Pforzheim. Questa é una delle processioni più suggestive inerenti al culto di San Calogero Eremita. Il Santo nero, molto sentito non solo a Naro quale è il patrono ma in tutta la terra sicula.

Il culto é molto forte e radicato anche nella comunità narese a Pforzheim, quale ne ospita ca. 6.800 nel il circondariato. La Cittá tedesca é divenuta un punto fondamentale di incontri e festeggiamenti. Sono organizzati annualmente dalla Missione Cattolica Italiana, a capo del padre salesiano Don Santi Mangiarratti, in collaborazione con il Centro Culturale Italiano di Pforzheim, guidato dal loro Presidente Vincenzo Urso, il quale chiude l’evento offrendo peculiaritá della casa presso il loro centro. Abbiamo seguito rispettosi tutte le fasi liturgiche e festose. Dalla tradizione del pane benedetto, portato di buonmattino presso la Chiesa Barfüßerkirche che, ospita San Calogero, alla processione in strada scandita dalle urla dei fedeli che hanno portato a spalla, per le vie della Cittá, la straula col Santo al grido di "Viva Diu e San Calò". Abbiamo trovato con estrema facilità anche persone che hanno fatto tutta la processione a piedi scalzi, come segno votivo nei confronti del Santo Eremita. Cosí anche il rivestirlo di denaro sia in chiesa che al suo passaggio, in segno di ringraziamento per grazie ricevute. Il presule in Chiesa, piú che celebrare la Santa Messa, si é soffermato molto e spiegato ai fedeli non solo i significati di una cosí grande vocazione ai Santi in generale ma anche la storia che affonda piú nella tradizione e leggenda del loro San Calogero di Naro. Ha scherzato con i naresi con lo scopo di farli riflettere. Certo devozionismo popolare, ha spiegato, vuole che molti santi di un determinato territorio siano stati fratelli e San Calogero (che nella etimologia greca vuol dire semplicemente "bel vecchio") di fratelli ne avrebbe avuti cinque o sei. É un santo agrigentino, si racconta ma i molte città della provincia è il patrono e in altre gode di devozione. Santi che a loro insaputa, venivano coinvolti nelle dispute campanilistiche, molto accese fra i comuni come “San Caloriu di Giurgenti, fa mmiraculi ppi nenti, San Caloriu di Naru fa mmiraculi a migliaru, San Caloriu di Caniattì, ni fici una e sinní pintí e via dicendo.

Voi sapete perché i vari artisti che lo hanno rappresentato in immagini e sculture, lo hanno raffigurato di colore nero? Chiede infine Don Santi. San Calogero era pur buono ma dispettoso nei confronti del fratello, Sant’Angelo. Uno di questi dispetti si concluse con un suo gesto di generosità che ebbe però nefaste conseguenze, su una disputa tra grano e paglia. All’inizio della stagione agricola, racconta, San Calogero tra una scusa e l’altra fece fare tutto al fratello. Dall’aratura, alla semina, alla raccolta del grano e paglia. Giunto alle spartizioni, San Calogero ricominció l’ennesima filastrocca: “ Angelino ora dobbiamo dividere. Visto che tu hai fatto tanto lavoro, ti do il vantaggio della scelta. O ti pigli la paglia ed io il grano o se non ti sta bene, il grano me lo piglio io e tu la paglia. A te la scelta”. Sant’Angelo scoperto l’inganno, preso da rabbia, diede fuoco alla paglia dicendo: né tu né io, muoia Sansone con tutti i Filistei. San Calogero, per quanto birbantello, capí di avere esagerato e si gettò in mezzo al fumo e fiamme. Domó l’incendio ma rimase nero a vita. Confessiamo di avere assistito anche noi ad una Santa Messa piú umana che tattica, ascoltata da tutti con grande interesse e partecipazione. A seguito i connazionali, usciti dalla chiesa, si sono riuniti presso il Centro Culturale Italiano dove, la benedizione di Don Santi Mangiarratti, ha dato il via alla scorpacciata con le mani dei “maccaruna di San Caló”. Antica tradizione narese che ha chiuso l’evento. In proposito, abbiamo raccolto alcuni commenti: La comunitá cristiana per devozione a San Calogero si riunisce ogni anno in preghiera, commenta Don Santi Mangiarratti, per invocare la protezione e l’intercezzione soprattutto per gli ammalati. Per coloro che sono e che si sentono emarginati. Per coloro che sono nel bisogno. Come preannunciato, sará la mia ultima processione con loro, per lasciare da emerito questa mia gente. Mi auguro peró che chi mi sostituirá, continui a tenere viva e unita questa comunitá. Ebbene che sappiano che, qualsiasi comunitá, culturalmente é molto difficile da gestire e da tenere unita. Con tutto il rispetto per i miei successori ma se non si proviene dalla stessa Regione della popolazione che si dovrá seguire, il solo imparere la nostra lingua madre e per obbligo anche la lingua tedesca, non basterá ne aiuterá di certo a tenere unitá questa comunitá, i loro principi, i loro ideali e le loro tradizioni, per come io ho cercato di fare in questi ventisette anni. É da dieci anni che faccio parte del Centro Culturale Italiano di Pforzheim, ci spiega l’attuale presidente Vincenzo Urso. Mi sono identificato nella nostra comunitá narese, in quanto é una delle piú attive e numerose che esiste a Pforzheim. La nostra, é una storia che ci accompagna per piú di cinquant’anni. Dal primo dopo guerra, per intenderci, fino all’arrivo della nuova generazione. Insieme alla Missione Cattolica Italiana, guidata da Don Santi Mangiarratti, abbiamo cercato di tenere uniti i valori delle nostre origini e tradizioni, attraverso piccole manifestazioni. A Naro, da piccolo, vedevo ma non capivo il significato di quando i nostri anziani offrivano pane e pasta al nostro patrono San Calogero. Oggi, a 2.200 chilometri sono orgoglioso di essere riusito non solo a capire ma a mettere in moto anche un’altra antichissima nostra tradizione “i maccarruna di San Caló”. L’obbiettivo é di procedere su ció che i nostri precedessori anno incominciato e cioé, riunire la comunitá narese dando loro l’opportunitá di uno scambio di idee ed esperienze nel nostro centro, impegnato nel socio-culturale. Credo soprattutto nei giovani e a maggior ragione ci stiamo impegnado anche nel progetto di inserirli nel nostro ambiente, organizzando dei gruppi musicali, corsi di chitarra e con l’aiuto del nostro v.p. del centro Ignazio Minotta, inserito nel comitato di integrazione nella Cittá di Pforzheim, daremo vita anche a delle associazioni che avvantaggeranno la nostra comunitá nel mondo lavorativo. Sono venuto quí l’undici Gennaio del sessantadue, sensa una lira, racconta a fatica Gaetano Valletta, per tutti ormai nel centro italiano lo “ Zio Tanino”. Mi sposai con una tedesca e ho avuto una figlia. Incominciai facendo l’imbianchino e, vedi questo centro, porta le mie impronte sui muri. Da quando la moglie é deceduta, interviene generosamente Vincenzo Urso, lo abbiamo strappato dalla sua solitudine, portato nel nostro centro e accolto come il nonnino della casa. É da cinquantuno anni che non vede piú Naro, il suo paese. L’unico ritrovo, e lui lo sa perfettamente, é qua da noi. Qui si sente a casa sua, nonostante ci siamo impegnati a sistemarlo in una casa di ricovero a centocinquanta metri da noi. Proprio per non fargli mancare nulla e averlo sempre con noi. Anzi ti diró quello che lui puó confermare, se manca un giorno, lo andiamo a prendere subito noi perché ci manca. Sona lontana dalla mia terra dal sessantasei, ci racconta Iona Rotondo. Ho tre figli e sono pure nonna. Ho lavorato tanto ed é stata davveo dura e difficile integrarmi. Ora da pensionata seguo, finché posso, i programmi che organizza la Missione Cattolica di Pforzheim. É sempre un piacere, anche se in piccolo, rivivere queste nostre tradizioni. Ammetto che questa é una cosa nuova anche per me, confessa Eleonora Zarbo compagna del presidente del centro. Anche se sono di Palma di Montechiaro, ho sempre vissuto quí a Pforzheim e questa tradizione é sconosciuta anche a me. Sposo pertanto questa tradizione che tramite il nostro centro italiano cerca di far conoscere e tramandare ai nostri giovani. Ovviamente “i maccarruna di San Caló” non li mangio con le mani per un semplice mio motivo personale ma mi piace comunque appoggiare la loro mentalitá e cerco di apprezzare quello che in qualche modo rappresenta la loro cultura votiva come pure le loro usanze. “Nandri circammu sempre a nostra tradizione e di falla accanusciri anche ai nostri giovani, ca nasciuti e crisciuti in Girmania, nun sannu nenti du nostru passatu” racconta la settantadueanne Pluchino. Si scusa se non parla l’italiano ma solo il suo dialetto narese e anche noi, a rispetto della sua origine, cerchiamo di trascriverlo per come lei simpaticamente ci ha parlato. “Chisti cosi li vussemmo a Naru e li cucemmu cu parmiggianu. Ma sennó, addipenni a prummissa, ni li facivanu ca ricotta e tutti nautri carusi, currivamu e ni li mangiavamu cui mani”. Abbiamo in effetti trovato giovani volontari ricchi di espressione anche dietro il bancone che servivano la mezza etá. Come anche giocare con il loro presidente al calcio balilla. Dunque in conclusione, il giovane Vincenzo Urso, sembra davvero intenzionata a rivoluzionare e portare innovazione in questo Centro Culturale Italiano di Pforzheim, sotterrato da anni ormai da lati oscuri e dal mal funzionamento che ha tralasciato nel passato gli ideali principali, quella di tramandare la vera cultura e tradizione di un popolo che, come tanti altri sparsi per il mondo, porta giá una grande spina nel fianco, quella di essere emigrato: e non certo per villeggiatura!


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